PERDERE UN' AMICIZIA

AVERE DEGLI AMICI

Nel cammino di una Vita tutti si trovano a cercare di poter attribuire quella magica parola "amicizia". In questa parola risiede un grande "baricentro"  ma molte persone vivendo in solitudine hanno imparato a conviverci. Per quelli che non sono caduti nella disperazione la ricerca di vita, sia materiale sia spirituale, ha fornito una ragione per tentare, per vivere. Ognuno di noi, con le proprie capacità e con le proprie convinzioni, ha cercato una via e tracciato dei percorsi. Questi possono essere descritti in quattro cammini. Non ve ne è uno più meritevole dell'altro ma tutti tentativi volti a recuperare quel "benessere" nella complessità della vita. Vi sono:
  • persone che hanno delegato ad un Dio fuori da loro la loro stessa vita, consapevoli che esiste una forza più grande dell’uomo, sempre disposta ad operare per la crescita umana. Sono le persone che all’apparenza soffrono meno della solitudine, per loro la fede, oltre che una guida alla vita, rappresenta un faro che non farà calare la notte nell’animo.
  • persone che hanno percorso la via che dall’esterno porta al centro. Esercitando il controllo hanno percorso la via della disciplina, del proprio corpo, della propria mente. Sono persone che hanno trovato un equilibrio discreto nel rispetto delle norme, dei precetti morali e nel rispetto di sé e degli altri. Sono persone che soffrono molto le ingiustizie, perché queste le rendono sole.
  • persone che avvertivano il bisogno di condividere con altri la propria solitudine, salvo poi soffrire della stessa quando si lasciano. Sono persone molto orientate alle relazioni esterne, amanti della vita sociale, ricevono calore e sostegno in gruppo.
  • persone, infine, che hanno cercato di metabolizzare la solitudine. Utilizzando gli strumenti che la società e la cultura mettevano loro a disposizione, hanno tentato una ricerca: abbandonati i precetti religiosi, politici e sociali si sono messi in gioco intimamente elaborando le esperienze di vita vissuta, le debolezze e la forza, propria di ogni individuo. Sono persone che hanno fatto i conti con il proprio vuoto interiore, con la paura della morte e dell’abbandono. Sono persone che hanno affrontato un percorso di analisi profonda e che hanno avuto il coraggio di chiedere aiuto, consapevoli che metabolizzare la solitudine è un percorso di ricerca continuo, che dura tutta la vita e che spesso rievoca i grandi dolori vissuti.
Ma la solitudine più grande con cui un essere umano può trovarsi a fare i conti è perdere un amicizia.  Allora come elaborare questa esperienza traumatica?
 
Ci farà da guida un passo de Il Piccolo Principe
 
“No”, disse il piccolo principe. “Cerco degli amici. Che cosa vuol dire addomesticare?”
“E’ una cosa da molto tempo dimenticata. Vuol dire creare dei legami…”
“Creare dei legami?”
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.
“Comincio a capire”, disse il piccolo principe. “C’è un fiore… credo che mi abbia addomesticato…”

Ma la volpe ritornò della sua idea:
“La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio per ciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
“Per favore… addomesticami”, disse.
“Volentieri”, rispose il piccolo principe, “ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose”.
“Non si conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!”
“Che bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…”
Il piccolo principe ritornò l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe. “Se tu vieni per esempio tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti!”.
“Che cos’è un rito?”(…)
“E’ quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore.”(…)
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l’ora della partenza fu vicina:
“Ah!” disse la volpe, “…piangerò”.
“La colpa è tua”, disse il piccolo principe, “io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…”
“E’ vero”, disse la volpe.
“Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
“E’ certo”, disse la volpe.
“Ma allora che ci guadagni?”
“Ci guadagno”, disse la volpe, “il colore del grano”.

 (Saint-Exupéry, 1943).


Carlotta Artico
Tarologa specializzata in cammini esistenziali
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